Partendo dall’etimologia della parola GRAFOLOGIA sappiamo che si origina da grapho (io scrivo) e logos (io discorro, inteso nell’accezione di “io ragiono”). Quindi la grafologia è un ragionamento relativo alla scrittura. La scrittura sappiamo essere uno di quei gesti che abbiamo compiuto regolarmente e continuiamo a compiere nonostante la tecnologia si sia fatta strada a tal punto quasi da sostituirla.
La scrittura fissa il pensiero nella materia, rendendolo disponibile per sé stessi e per altri a distanza di spazio e di tempo. E’ stata inventata quindi per consolidare e fissare i concetti, dapprima in forma rudimentale, pittografica o ideografica, poi con tratti sempre più personalizzati ed evoluti: nella grafia la persona esprime sé stesso come in una fotografia.
Il segno che imprimiamo su di un foglio bianco è il mezzo utile alla mente per il richiamo della memoria (che è fondamentale per attivare la sfera dei ricordi). La carta è quindi il simbolo dell’ambiente in cui viviamo: come la trattiamo, come ci muoviamo su di essa, così operiamo nell’ambiente e nelle relazioni interpersonali.
Ogni persona ha una sua grafia: come non possono esistere al mondo due persone assolutamente identiche, allo stesso modo non possono esserci due grafie identiche.
La grafologia ha il compito di scoprire non solo l’intimo carattere dello scrivente ma anche l’emotività che si evidenzia in modo chiaro ed inequivocabile attraverso la pressione sul foglio, diretta espressione dell’energia vitale di chi scrive.
La forza contenuta nella grafia è la somma delle forze contenute nell’evoluzione plurimillenaria della cultura umana, nella psicologia conscia ed inconscia. Il singolo individuo, rappresentando con dei simboli convenzionali dei concetti archetipici, mentre espone per iscritto i suoi pensieri coscienti, registra altresì in forma stabile lo stato d’animo, l’emozione, l’attitudine, l’idea che vibra nel suo profondo.
A scuola il bambino scrive come gli insegna la maestra. Poi dopo un po’ di anni, la forza dell’inconscio modifica la forma rigida precedente e questa forza trova le occasioni che in quel determinato periodo di vita lo fa esprimere, ecco dunque che la scrittura si presenta come un test naturale prodotto dall’Io.
Già 30 anni fa Emilio Caille aveva applicato la grafologia agli 8 “tipi psicologici” descritti dallo psicologo Renato Le Senne: nervoso, sentimentale, collerico, passionale, sanguigno, flemmatico, amorfo, apatico notando delle corrispondenze sorprendenti. Analizzando le grafie di autori come ad esempio Byron, Chopin, Wilde si possono collocare tra i tipi “nervosi”. Oppure tra i “sentimentali” Kierkegaard, Leopardi, Rousseau, o ancora tra gli “amorfi” La Fontaine. Dante un “passionale”. Autori geniali che componevano e scrivevano con l’anima senza barriere lasciando emergere l’inconscio dal loro profondo.
Possiamo affermare dunque che la grafologia si può considerare scienza anche se molti ancora equiparano questa disciplina ad un sorta di “rito magico” che di magia ha ben poco ma di rituale è assai ricca se consideriamo la miriade di informazioni in essa contenute.
Scoprire la tendenza scrittoria anche nelle persone comuni fu il grande passo innovativo della grafologia che a partire dal XIX secolo assecondò gli sviluppi della psicologia tedesca e francese (Freud, Jung, Adle, Crepieux-Jamin, Pulver) ma anche italiana con Marco Marchesan che per primo assegnò alla grafologia il termine di “psicologia della scrittura”.
Si può parlare di scienza poiché ogni segno grafico ha un corrispondente neuro-fisiologico e psicologico che acquista pieno valore nell’interazione con altri segni e che permette di analizzare le caratteristiche di intelligenza, temperamento, comportamento, affettività e sessualità di chi scrive.
Ad esempio basti pensare al movimento grafico piegato verso sinistra denota difficoltà da parte del soggetto a muoversi con scioltezza verso il futuro, viceversa se il movimento è verso destra la persona è dinamica ed estroversa. Oppure se la distanza tra una lettera e l’altra (interlettera) è pari ad un occhiello (cioè la parte tondeggiante delle lettere ad es. a, o, d, g, q) si ha un rapporto normale interpersonale laddove dovesse risultare troppo stretta vi è la tendenza a rapporti a volte soffocanti. E’ importante ricordare che ogni singola prima lettera è simbolo dell’Io, mentre le lettere successive, essendo ancora da scrivere rappresentano il Tu. La distanza tra parole (traparole) indica come viviamo la programmazione di un nuovo evento. O ancora grandi spazi vuoti nell’interlinea significano spazi di recupero energetico. O ancora il calibro della grafia o altezza: se troppo piccola indica eccessiva timidezza, al contrario invadenza. Andando nel particolare si passa ad analizzare i ricci, i tagli, i filetti, le asole. Se la scrittura è ascendente o discendente, se rispetta i margini se chiara o scura.
La prevalenza di uno di questi segni determina la tipologia di scrittura ad esempio risulta impressionante la lettera che scrisse Mozart al padre quando aveva 24 anni (1778): il foglio è cosparso di macchie, scrittura veloce e sottile, tanto armoniosa da far sembrare le lettere note di spartito.

Lettera di Mozart a suo padre (1778)
Mozart era iperemotivo, imprevedibile, attratto da molteplici stimoli a cui doveva dare un’immediata risposta, come i bambini facilmente eccitabili. Ancor oggi la sua musica ci stupisce per la sua geniale e divina creatività. Come dice Schopenhauer: “In ogni autentico genio che considera il mondo come spettacolo, si cela un grande bambino”.
Nelle ricerche e studi di questi anni nell’ambito della grafia, sono giunta alla conclusione che, come in omeopatia esistono le costituzioni, in psicologia i caratteri, in naturopatia i terreni, nella grafologia esistono i tratti scrittori o grafici che racchiudono l’Io nella totalità contenente in sé l’intelletto, il sentimento, la volontà e lo stato psicofisico. Questo crea un ponte tra l’eloquio e la scrittura.
La grafo-psicosomatica può essere considerata, quindi, uno strumento che tiene conto non solo dell’analisi personale (carattere, attitudini, potenzialità...), ma anche di quella psicofisica (tensioni, stress, disturbi psicosomatici).
Il gesto grafico infatti ha due componenti: la prima originaria e naturale, costituita dalle cariche psicomotorie del soggetto a livello inconscio; la seconda costituita da impulsi psicomotori provenienti dalle associazioni di idee, eventi inconsci dell’emotività, della reattività e dell’affettività.
Come per tutti i terapeuti, anche per chi esercita la grafo-psicosomatica è richiesto intuito, empatia e capacità di comprensione della complessità del mondo individuale nella sua interezza.
Dott.ssa Elisabetta Ramondetti
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